mercoledì 9 aprile 2008

La Regione e il ridisegno dei poteri locali


La classe politica regionale sarda non si è mai segnalata, storicamente, per una grande attenzione verso il sistema delle autonomie locali. Tradizionalmente le province, e soprattutto i comuni, sono stati il terminale di politiche di spesa spesso clientelari, con il ruolo predominante dell’Assessorato regionale dei lavori pubblici che attribuiva in regime di delega l’attuazione di opere pubbliche di vario interesse. Quasi mai abbiamo conosciuto un sistema di governance reale del mondo delle autonomie; tanto più necessario a partire dalla riforma del Titolo V della Costituzione, che ha codificato all’art. 114 il nuovo sistema di cosiddetta equi-ordinazione dei diversi livelli di governo (Stato, Regione, Provincia e comune).
Con la Giunta Soru l’approccio, nonostante le affermazioni del programma della coalizione Sardegna Insieme, non è stato sostanzialmente diverso. Si è semplificato comunque il sistema del finanziamento alle autonomie locali, con l’introduzione del fondo unico – che nell’ultima finanziaria ammonta a circa 550 milioni di euro. Sotto il profilo delle riforme istituzionali (interne) abbiamo invece assistito all’approvazione della Legge regionale 2 agosto 2005, n. 12 “Norme per le unioni di comuni e le comunità montane. Ambiti adeguati per l’esercizio associato di funzioni.
Misure di sostegno per i piccoli comuni”, che ha portato alla tormentata vicenda della soppressione delle 25 comunità montane sarde. Si è trattato del primo momento riformatore, dopo l’avvio delle nuove province regionali, seguito dalla Legge regionale n. 9/2006 sul conferimento di funzioni e compiti agli enti locali. Un momento peraltro molto contraddittorio, mosso dalla solita furia distruttiva del Presidente della Regione, alla quale ha fatto seguito una fase di grandissima confusione. Infatti, le comunità montane sono state soppresse (fine marzo 2007) e immediatamente dopo messe in “liquidazione” con una situazione piuttosto surreale che perdura sino ad oggi. Contemporaneamente l’Assessorato regionale degli enti locali si è fatto promotore, attraverso la L. R. n. 12/2005, di una politica di incentivo verso le Unioni dei comuni, stanziando in loro favore un fondo annuale di 10 milioni di €uro. Le Unioni di comuni, enti locali a base volontaria, hanno costituto sino allo scorso anno un’esperienza molto limitata in Sardegna (se ne contavano non più di tre o quattro). Oggi, sulla base dell’indirizzo pianificatorio contenuto nel Piano degli ambiti territoriali ottimali, sono – sia pure solo formalmente – diventate circa 30, sopravanzando di numero le vecchie comunità montane, e con un incremento della spesa superiore al doppio rispetto al 2006.
Solo il tempo potrà dire quanto e se la nuova articolazione organizzativa dei comuni per la gestione associata dei servizi saprà raggiungere buone performances di efficacia e di efficienza. A giudicare dall’avvio si è autorizzati a dubitarne profondamente. Peraltro proprio lunedì 7 aprile è stato stipulato il protocollo d’intesa fra la Regione e le rappresentanze delle Autonomie locali che avvia nel concreto il trasferimento delle risorse della Regione in attuazione alla legge regionale 9/2006, meglio nota con il nome di "federalismo interno". La Regione inizia a spogliarsi di alcune competenze di carattere più tipicamente gestorio, per attribuirle agli enti più vicini ai cittadini, in ossequio ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Per far questo ha anche gettato le basi dell’unificazione del comparto di contrattazione del personale della Regione e degli enti locali, strumento organizzativo imprescindibile per garantire una mobilità effettiva tra l’intera pubblica amministrazione regionale.

El kubano